Immagine di Jean-Jacques Dubois

Nome: Jean Jacques Dubois
Stato: Attivo
Ultimo indirizzo conosciuto: Sconosciuto
Luogo di nascita: Parigi, FR
Data di nascita: Sconosciuta
Razza: Suina
Genere: Maschio
Lingue: Maialese, Francese, Inglese
Qualifica: Membro dei Time For Revolution
Manto: Marrone
Occhi: Marroni
Segni particolari: Nessuno
Famiglia: Sebastien Dubois, Padre – Deceduto
Genevieve La Rue, Madre – Deceduta
Alain Dubois, Fratello – Deceduto
Pierre Dubois, Fratello – Deceduto
Bernard Dubois, Fratello – Deceduto
Isabelle Dubois, Sorella – Deceduta
Educazione: Sconosciuta

Un allevamento in Cina

Appartenente alla nobile famiglia dei Dubois, Jean Jacques è il minore di cinque fratelli. Dopo la prematura scomparsa dei genitori venne adottato insieme ai fratelli da un uomo d’affari di nome John Smith. Troppo tardi però scoprirono che la persona a cui avevano affidato le loro vite era in realtà Roman Docs, conosciuto come “Il Macellaio” ricercato per furto, macello clandestino e vendita illegale di animali. Da quel momento i fratelli Dubois furono venduti ai migliori offerenti di tutto il pianeta.
Jean Jacques e suo fratello Alain vennero destinati a un allevamento intensivo del Sud America. Spogliati delle loro ricchezze, dei loro privilegi e della loro identità, i due fratelli sopravvissero nello sporco e in condizioni disdicevoli. Maltrattati e nutriti con prodotti chimici che li facevano crescere a vista d’occhio, i due non potevano fare altro che aspettare il loro turno di morire e diventare cibo per fast food.

Jean Jacques Dubois, primo piano

Un anno dopo – al momento della macellazione – Alain aggredì il suo aguzzino, riuscì a liberare il fratello e insieme tentarono la fuga. L’inseguimento che ne seguì fu doloroso e segnò a vita Jean: caddero vittime dei segugi sguinzagliati dai loro persecutori durante la notte. Ancora una volta, Alain salvò la situazione, spingendo Jean giù da una scarpata, intimandogli di fuggire il più lontano possibile e di non voltarsi indietro.
Dopodiché, Alain venne sbranato. Scioccato dalla sorte del fratello, Jean Jacques cercò con fatica di ricostruirsi una vita. Lavorò nel circo per alcuni anni e poi in una fattoria. Deciso a ritrovare i membri della sua famiglia, rintracciò sua sorella in un allevamento intensivo spagnolo, ma al suo arrivo la giovane era già stata macellata e venduta a una catena di ristoranti. Pierre, l’altro fratello, aveva fatto la stessa fine. Di Bernard, l’ultimo fratello, non seppe mai più nulla.
Jean incontrò Antonio G., già noto alle forze dell’ordine e capo dei “Time for Revolution”, poco tempo dopo. Accettò l’incarico nel gruppo giurando che nessuno avrebbe mai più attraversato la tragedia che la sua famiglia aveva dovuto subire.

DOSSIER

Ripensare gli allevamenti intensivi

Gli impatti degli allevamenti intensivi per la produzione di carne sono ben noti. Tralasciando gli aspetti etici, sappiamo ad esempio che per quanto riguarda le emissioni di CO2 (anidride carbonica, uno dei gas serra che concorre al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici) gli allevamenti rappresentano il 14,5 per cento delle emissioni di gas serra indotte dall’uomo1. La produzione di carne bovina e di latte bovino rappresenta la maggior parte delle emissioni, contribuendo rispettivamente al 41 e al 20 per cento delle emissioni del settore. Mentre la carne di maiale, la carne di pollame e la produzione di uova contribuiscono rispettivamente il 9 per cento e l’8 per cento alle emissioni del settore. In Italia, secondo i dati Ispra2, l’intero settore agricolo produce il 7,1 per cento delle emissioni nazionali. Di queste la zootecnia è responsabile del 5 per cento delle emissioni. Se volessimo fare un raffronto, la sola produzione energetica conta per oltre la metà di tutte le emissioni italiane. Per ridurre questi impatti sono molte le soluzione proposte, prime tra tutte quelle che coinvolgono le scelte alimentari di chi vive nei paesi più ricchi: ridurre l’apporto di proteine animali nella dieta. Secondo la Planetary Health Diet3, compilata e redatta dalla Commissione EAT-Lancet e composta da oltre 37 esperti di 16 paesi, una dieta sostenibile dovrebbe prevedere di raddoppiare il consumo medio globale di noci, frutta, verdura e legumi. Mentre dovremmo ridurre di oltre la metà il consumo di carne rossa e zucchero. Non si tratta dunque di dover scegliere un regime alimentare piuttosto di un altro, ma di rivedere alcune abitudini, più o meno radicate nella vita quotidiana di tutti.


[1] http://www.fao.org/3/a-i3437e.pdf

[2] https://www.isprambiente.gov.it/files2020/eventi/gas-serra/decristofaro.pdf

[3] https://eatforum.org/knowledge/diets-for-a-better-future/